"L'educazione è un'opera essenziale. Richiede un fondamentale rispetto per i ragazzi che crescono. Camminare insieme a loro significa non andare da nessuna parte senza di loro, con profonda attenzione alla loro libertà... In questa tensione tra passione e rispetto, tra proposta e ascolto, fra presenza e distacco il lavoro educativo diventa un'opera d'amore."

(Achille Rossi, L'educazione nel tessuto delle relazioni, ed. L'Altrapagina, Città di Castello, Perugia)

giovedì 16 aprile 2015

"Para Todos Todo, nada para nosotros" - articolo redatto da Tommaso Guerrazzi della Classe I G, Liceo Maffei

“Il violino del Titanic” e la legalità
“Para Todos Todo, nada para nosotros”

La nostra città, anche quest’anno, è entrata in contatto con alcune manifestazioni che hanno come obiettivo quello di cercare di diffondere e di spiegare ai ragazzi il concetto di legalità e tutto ciò che vi gravita attorno. 
Come tutte le volte che si è verificato questo piccolo contatto, esso è passato tra il silenzio generale: i vari incontri, che si sono susseguiti per comporre una sorta di cammino verso la legalità, sono stati a stento pubblicizzati nelle scuole e, se non fosse stato per l’iniziativa di alcuni singoli professori (fortunatamente) attenti a questo genere di iniziative, esse non avrebbero ottenuto la partecipazione che sono riuscite a raggiungere.
Una delle “puntate” più coinvolgenti di questo sentiero tortuoso, a cui ha dato vita la manifestazione La Memoria che fa Primavera, dalla legalità alla responsabilità, dalla conoscenza alla partecipazione, è stato lo spettacolo di sabato 14 Marzo scritto e interpretato dalla compagnia di Bologna de I cantieri meticci.
La rappresentazione teatrale, svoltasi alla Fondazione Bentegodi, aveva come titolo Il violino del Titanic, ovvero non c’è mai posto nelle scialuppe per tutti e ha raccontato, in modo estremamente interattivo, la tragedia del più noto transatlantico affondato della storia, gigantesca metafora del sistema non solo italiano, ma anche mondiale e non solo economico, ma anche politico e culturale. 
Come il Titanic, il mondo sta affondando e solamente la “prima classe” della nostra società si salverà, mentre tutti gli altri dovranno combattere fra di loro per ottenere quei pochi posti che rimangono liberi sulle scialuppe di salvataggio.

giovedì 9 aprile 2015

elaborazione artistica degli studenti della Scuola Media Cappelletti Turco


IL CORAGGIO
Questo burattino ha i capelli biondi, gli occhi neri, le braccia colorate di viola e verde. Sul suo petto c’è scritto: “Il coraggio non scompare, perché è dentro di noi”.
Le gambe sono blu e gialle e le scarpe rosse. Sulla pancia c’è una stella di David fatta di stecchini e ai lati abbiamo messo dei bottoni che sorreggono i pantaloni. C’è anche una cerniera che cerchia il cuore.

Noi abbiamo deciso di rappresentare così la parola “coraggio” perché  le persone che vivevano nei campi di concentramento dovevano lottare dimenticando di essere vivi per non avere paura della morte che era sempre presente.


LA MISERIA
Noi abbiamo fatto questo burattino con una faccia triste, la bocca con una curva verso il basso, le guance rosse e gli occhi con dei bottoni neri, tristi.
Il viso fa trasparire un sentimento buono, ma senza speranza per la paura che i prigionieri avevano sempre.
Sul petto ci sono due cuori: uno è colorato, mentre l’altro ha una frase al suo interno: “Impara dal passato per non commettere ancora gli stessi errori”.
La maglia ha delle toppe perché possa rappresentare i maltrattamenti, i pantaloni sono larghi perché erano magri e a righe proprio per ricordare i vestiti dei deportati che lavoravano nei campi di concentramento.

Tra le mani non ha nulla perché era povero.

LA LIBERTA
Noi abbiamo rappresentato questo burattino con ai polsi delle catene spezzate proprio per raffigurare la parola LIBERTA’ e con il viso felice perché appunto è stato liberato.
I suoi indumenti non sono da signore perché era in un campo di concentramento; infatti sui pantaloni ci sono delle toppe fatte con pezzi di stoffa ricavate da quei poveretti che erano già stati uccisi nel campo, ma ce ne sono altre con brillantini per indicare la bellezza e la luminosità del suo animo.
Sul petto, vicino al cuore, ha una spilla che regge la stella di David: attaccandola i nazisti volevano indicare gli Ebrei.

Sulle mani ci sono delle ferite sanguinanti, dovute alla fatica della sopravvivenza in un luogo di morte e simbolo del dolore che ha dovuto sopportare il suo popolo.


LA MEMORIA
Il nostro burattino è pieno di graffi, lividi e ferite, con vestiti ridotti a stracci.
I suoi capelli sono neri e sembrano tagliati molto male.
I colori scelti sono il rosso, il verde e il nero.
Il verde rappresenta il campo di battaglia, in cui è facile rimanere ed essere dimenticati; il nero rappresenta la morte e soprattutto l’oblio, un luogo senza ricordo; il rosso non simboleggia solo il sangue versato, ma anche la vita, il ricordo che continua ad esserci e il desiderio di essere ricordati.
Al centro del petto c’è una svastica nera sul fondo rosso, come un marchio indelebile, che non può e non deve essere dimenticato.

L’uomo sorride perché sa che , nonostante tutto, la memoria di ciò che è stato rimarrà viva.

L'UMILIAZIONE
Questo burattino ha il viso maltrattato, che perde sangue. 
Al posto del cuore c’è la stella di David, fatta con gli stuzzicadenti appuntiti. Sul braccio sinistro c’è scritto “Vietato tutto agli Ebrei” perché a quel tempo era così, il destro ha dei bottoni per indicare i segni dei maltrattamenti subiti.
E’ vestito con toppe e pezzi di corteccia, proprio perché è umiliato.
Sul bacino abbiamo scritto, su un pezzo di stoffa bianco-sporco:”Il lavoro rende liberi” in tedesco, che era la frase posta sul cancello d’ingresso di ogni campo di concentramento, ed una svastica, simbolo dell’orrore nazista.
Sulla gamba destra è scritta in colore scuro la parola UMILIAZIONE, e sulla sinistra è stato rappresentato un ebreo dietro a delle sbarre con la parola “Shoà”.

Nel trasportarlo si è rotto l’avambraccio sinistro, perché il burattino è di un cartone non troppo resistente, ma questo gli ha dato un senso ancora più forte e simboleggia ancora meglio la sofferenza subita dai prigionieri.